Milano, 31 maggio 2018
Teso, nervoso, tirato come le corde delle chitarre che indossa come armi pacifiste che sfornano canzoni d’autore. Motta riempie di elettricità e buona musica l’Alcatraz di Milano e raccoglie attorno a sé migliaia di ragazzi che si affacciano alla vita, la soffrono, la attraversano e sopravvivono grazie anche alle canzoni, proprio come lui.
Ed è quasi come essere felice, così del resto parte la scaletta del live e del disco, Vivere o morire (qui la mia recensione), che occupa gran parte della serata. Sono parole secche e incisive come la voce e il passo di Motta, che incita con gesti rapidi il pubblico e condivide la gioia di essere vivo, di avere superato la crisi grazie a “lei” (l’attrice Carolina Crescentini n.d.r.) alla quale dedica Quello che siamo diventati: E finalmente senza fingere niente e senza dirci dove siamo stati e i tuoi piccoli segreti e la pazienza di essere raccontati.
Vivere o morire aver paura di tuffarsi di lasciarsi andare. Ho prestato la mia coscienza a #Motta qui sul palco dell’Alcatraz #vivereomoriretour pic.twitter.com/naFi2PvMBz
— PaolaGallo ? (@OndeFunky) May 31, 2018
La scaletta alterna le canzoni di Vivere o morire a quelle di La fine dei vent’anni. Le differenze tra passato e presente emergono con evidenza. È cambiato anche il modo di cantare: Motta sembra più rilassato, più sereno nonostante i lineamenti duri da Lou Reed nostrano. Si lascia andare all’incredulità felice di essere ritornato sul palco e di avere tanta gente intorno. Ringrazia e nomina spessissimo i suoi musicisti che tocca uno ad uno come per trasmettere e ricevere energia.
L’amarezza di canzoni come Del tempo che passa la felicità o Se continuiamo a correre ha lasciato spazio alla consapevolezza più romantica de La nostra ultima canzone o Per amore e basta. Il suono del live è tirato al massimo, ma ci sono anche momenti più acustici, intimisti e riflessivi come Mi parli di te, lettera aperta al padre.
Il finale riserva la sorpresa di Fango, una delle canzoni dei Criminal Jokers, la band con la quale Motta all’inizio della sua carriera si fece conoscere dai seguaci della scena indie-rock e punk-rock (toscana e non), prima della svolta solista. Alla fine del bis il primo a sembrare felice è proprio Motta e di conseguenza il pubblico che risponde con lunghi applausi a questa catarsi collettiva, un concerto che è anche terapia sopra e sotto al palco perché: Tutto quello che non so serve a scriverti canzoni…
Paola Gallo©