Treviglio, Bergamo, Lombardia, Mondo 19 giugno 2020
Viola è una ragazza che stimo da sempre. Ama la musica, le parole e le lingue classiche. Scriveva sulle Onde quando aveva solo 13 anni e oggi che ha raggiunto il traguardo della Maturità in questi tempi sospesi, non potevo non chiederle che cosa ha significato raggiungere una tappa così fondamentale della vita ai tempi del Covid-19. Ecco il suo racconto:
La mia maturità 2020
È ormai risaputo che la maturità sia una delle tappe più importanti della vita di ciascuno e che essa rappresenti un trampolino di lancio per il proprio futuro. La maturità è sempre stata vissuta come un rito di passaggio, un qualcosa che ci permette ufficialmente di entrare nel club dei “grandi” insieme al compimento del proprio diciottesimo compleanno e, pertanto, vissuta con un po’ di sano timore e tanta emozione.
Ogni studente, indipendentemente dal percorso scolastico che ha intrapreso, già a partire dalla quarta superiore inizia a pensare alla maturità e a come da lì progettare la propria vita.
Io, per esempio, ho concluso giusto mercoledì cinque anni di liceo classico, un pezzo importante della mia vita, che ha sicuramente determinato la persona che sono oggi. La Viola di cinque anni fa, infatti, era diversa da quella che sta scrivendo ora, perché durante questo mio percorso liceale ho conosciuto tante persone, imparato cose nuove che mi hanno, ciascuna a proprio modo, lasciato un segno. Al di là dell’indirizzo del proprio percorso delle scuole superiori, credo che ogni studente sia maturato negli anni e sia, quindi, riuscito a poco a poco e con fatica, a costruire se stesso. Forse è proprio questo il motivo per cui l’esame di stato che ogni giugno/luglio generazioni di studenti si trovano ad affrontare si chiama “maturità”. quest’anno, però, per noi nati nel 2001 è stato decisamente particolare, inusuale. Quella che racconto oggi è la mia storia, che ritengo, però, in qualche modo vicina a quella di tutti i maturandi d’Italia.
Come ben sappiamo, ogni scuola superiore ha le proprie materie d’indirizzo, il proprio taglio didattico e i propri mostri sacri, per noi del classico vi sono sicuramente latino e greco, i nostri migliori amici, ma al contempo peggiori nemici. Giusto ad inizio anno, la mia classe ed io abbiamo appreso la notizia che la tanto temuta versione di seconda prova avrebbe dovuto essere di greco, gettandoci quasi nello sconforto. Se, però, da una parte abbiamo iniziato ad avere un po’ di preoccupazione, dall’altra abbiamo avuto anche modo di realizzare che la maturità si stava avvicinando e abbiamo subito fatto piani. C’era chi prenotava con i propri amici più stretti il viaggio di maturità, chi voleva andare in interrail, chi fissava una grigliata di classe prima degli esami e chi parlava di proiettare su un maxischermo nel cortile del nostro istituto il film “Notte prima degli esami”. Tutti piani belli, magari un po’ banali, un po’ mainstream, ma comunque dei rituali attraverso cui erano passate generazioni intere prima di noi e attraverso cui avrebbe voluto passare anche la nostra. Alla fine di febbraio noi studenti siamo usciti da scuola con l’obiettivo di riposare e staccare qualche giorno per il ponte di Carnevale, ma senza sapere che sarebbe stata proprio la nostra ultima volta, soprattutto per noi di Quinta. A causa dell’emergenza sanitaria, infatti, è la scuola che ci ha raggiunti a casa, ribaltando un po’ i ruoli, attraverso la famosa “didattica a distanza”, che sicuramente è stata utile a livello didattico, poiché permette un alto rendimento, ma è stata carente da un punto di vista umano. Del resto, però, l’espressione stessa “a distanza” presuppone che in tali modalità non ci possano arrivare gli sguardi dei nostri amici, dei nostri professori, il suono della campanella, l’intervallo, la foto di classe e la festa di fine anno e nemmeno il tragitto sui mezzi, insomma, tutta la nostra piccola grande quotidianità di sempre. Noi maturandi, rispetto ad altri, avevamo anche il pensiero di come poter affrontare un esame di stato nuovo, assolutamente senza precedenti e in un momento difficile. Soltanto noi studenti possiamo capire quanto sia stato difficile preparare un traguardo così importante in un contesto davvero terribile come quello che abbiamo vissuto e che stiamo, in parte, ancora vivendo ed è proprio per questo che ritengo che, al di là di come vada la prova in sé, essa è e sarà un successo per ognuno di noi.
Convivere con il coronavirus è difficile per tutti, in Lombardia ancora di più e ancor peggio a Bergamo. Io sono bergamasca e, come tutti ben sappiamo, le mie zone sono state le più martoriate d’Italia. È per questo che posso assicurare quanto sia stato difficile prepararsi al proprio esame di stato con il suono delle ambulanze nelle orecchie e i nodi alla gola con la preoccupazione per noi stessi e i nostri cari.
Ieri, dopo tanti giorni bui e faticosi, ho varcato il cancello della mia scuola per affrontare il mio colloquio di esame. Non posso nascondere di essere stata un po’ tesa e di aver riposato poco la “notte prima degli esami”, ma avevo comunque la consapevolezza del fatto che esistano cose e situazioni ben peggiori. Credo, infatti, che la capacità di misurare il valore di alcune cose sia ciò che più abbiamo imparato in questa terribile emergenza sanitaria. Eravamo abituati a dare per scontato tantissimi aspetti della nostra vita, il privilegio dello star bene, la scuola stessa, che, contro ogni previsione, ci è mancata come l’aria durante il lockdown e noi maturandi abbiamo persino imparato a non dare per scontata nemmeno la maturità. Nessuno ci potrà mai restituire i nostri progetti fatti per l’estate e per l’esame, i tre mesi del nostro ultimo anno delle superiori, le prove scritte e tutte le aspettative che ci eravamo creati, ma forse è proprio per questo che dovremmo guardarci allo specchio ed essere fieri di noi stessi. Fieri del nostro percorso e vissuto, fatto di alti e bassi, successi e difficoltà, ma soprattutto fieri di essere riusciti a raggiungere un traguardo fondamentale quale la maturità, mettendoci tutti noi stessi in un momento di estrema e generale fragilità. Senza dimenticare poi che purtroppo molti di noi hanno visto soffrire i loro cari o hanno dovuto, ancor peggio, affrontare lutti. Sono stati mesi e attimi difficili, che nessuno avrebbe mai voluto vivere e che ci hanno segnati inevitabilmente.
Non nascondo, pertanto, di aver pensato in alcuni momenti che forse sarebbe stato meglio non fare la maturità, ma ad oggi ritengo che sia stato un bene mantenere l’esame di stato, perché ci ha permesso di distrarci e non pensare al contesto negativo che ci circondava, ma soprattutto perché l’istruzione e la cultura sono valori vitali che, come diceva Levi, persino nei momenti peggiori ci donano dignità umana e forza.
È stato però sicuramente strano fare ritorno a scuola con mascherina e tutte le precauzioni necessarie, con la possibilità di essere accompagnati da una persona, con i professori a distanza e con poco contatto umano. Posso dire, però, che essere in classe dopo tanti mesi con la mia migliore amica ad un metro da me a supportarmi e di fronte i miei professori, anche loro a distanza e con mascherina, mi ha riempito il cuore. Certo, non ci siamo potuti abbracciare, salutare come avremmo voluto, ma è bastato riuscire a vedersi negli occhi e, in quell’istante, ho ritrovato il calore umano che per mesi uno schermo mi aveva impedito di ricevere. Il colloquio in sé stato come l’avevo previsto, perfettamente coerente con le direttive del Ministero dell’Istruzione e, dunque, fattibile e soddisfacente dopo anni di studio. Quindi, da ragazza finalmente matura non mi resta che fare un grandissimo in bocca al lupo a tutti i maturandi d’Italia, non preoccupatevi, perché siamo forti e ora tocca a noi costruire un mondo migliore.
Viola Absinta