Milano, 11 settembre 2019
Niccolò Fabi è tornato, eccome. Una somma di piccole cose (qui la mia recensione), l’album che chiudeva, a detta dello stesso autore, un ciclo di analisi accurate e profonde di tutte le piccole e grandi vicende umane che ci attraversano con quiete o che ci travolgono come uragani, ci aveva lasciati in attesa di un capitolo nuovo che puntualmente è arrivato con Io sono l’altro che anticipa Tradizione e tradimento in uscita l’11 ottobre.
Non era facile, a detta dello stesso Fabi, scegliere come proseguire, uscire da un disco definitivo come quello del 2016, tanto che molti lessero nelle sue dichiarazioni l’annuncio di un ritiro. Costretto a precisare, Niccolò specificò che sarebbe sicuramente ritornato ma che non sapeva in che “forma”. E Io sono l’altro dimostra, ancora una volta, quanto il pensiero e la scrittura di Fabi siano acuti, inaspettati e pieni di questo tempo. Nei panni scomodi del cattivo, dell’ombra scura che ognuno di noi custodisce, del diverso, il brano inanella una serie di altri che ci spaventano ma con i quali dobbiamo convivere, dal nero sul barcone al padre del bambino handicappato che sta in classe con tuo figlio, fino al presidente del consiglio.
In un clima di odio e barricate, di urla, curve, rotture, ego smisurati che spaccano il mondo, Niccolò Fabi sussurra l’empatia, analizza con precisione terapeutica e geografica tutti i lati del cosmo e della nostra anima: “Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire ad indossare i loro vestiti, perché sono stati o saranno i nostri in un altro tempo della vita”. Io sono l’altro è un tentativo profondo di evidenziare una lettura necessaria ma non retorica del mondo, di mettere un paio di occhiali agli sguardi troppo miopi. E’ la proposta concreta di una cura, perchè Quelli che vedi sono solo i miei vestiti, vai a farci un giro e poi mi dici.
Paola Gallo