Milano, 11 gennaio 2018
Poco più di 20 anni fa ho avuto il privilegio di intervistare Fabrizio De Andrè. Stava iniziando il tour di Anime Salve e lo incontrai a Porto San Giorgio dove stava allestendo il concerto. Ero spaventata e con l’ansia da prestazione a mille. Per la prima volta qualcuno aveva voluto leggere prima le domande. Avevo il terrore che non gli piacessero e di non essere all’altezza. Ma i più grandi, si sa, sanno guardare in profondità e appena arrivata nella sua stanza mi chiese scusa per quella che poteva sembrare una mancanza di fiducia. In verità ci teneva a prendere appunti sulle risposte per non scordarsi nulla. Aveva un quaderno davanti in cui si era scritto molte cose che poi mi raccontò con quella voce potente e un po’ nasale. Con quell’accento genovese che scivolava nel microfono, nonostante la mia più totale devozione.
Hai gli occhi da squaw mi disse. Belli. Mi sentii bella davvero, io che ho sempre faticato a darmi la sufficienza. Parlammo per un’ora e poi lo seguii al palasport. Ricordo le sigarette, gli occhi lucidi e la confidenza che aveva con il palco dove in quell’occasione suonavano anche i suoi figli Luvi e Cristiano. Vidi la date zero, mangiai con tutta la crew al catering. Attraversai la storia senza accorgermene. Scoprii che Fabrizio non lasciava mai il camerino prima di aver ricevuto tutti i fan in attesa. Ogni notte sempre più tardi e ogni volta ironizzando sui tentativi di santificazione che da più parti arrivavano.
Da piccola non capivo De Andrè anche se il mio prete del catechismo ce lo faceva ascoltare per spiegarci gli ultimi attraverso gli occhi di un musicista laico. Credo abbia scritto pagine definitive e che la sua storia sia leggendaria. Al liceo ho recitato nell’Antologia di Spoon River grazie alla rilettura di Fabrizio e spesso mi sono trovata a voler approfondire certi passaggi delle sue canzoni. Quelle d’amore mi hanno straziato, quelle in lingua genovese mi hanno insegnato una nuova cultura.
De Andrè non è stato tra i miei cantautori di formazione, ma l’ho sempre ritenuto un ispiratore, un rivoluzionario, un sensazionale anarchico disobbediente. Sono davvero felice di averlo incontrato, di aver raccolto le sue parole e di aver fatto mio quel complimento. Sono passati vent’anni, ma neanche un secondo dalle sue parole.
“E che grande questo tempo che solitudine che bella compagnia”
Paola Gallo
Le foto dell’articolo sono tratte dal sito ufficiale fabriziodeandre.it
Meraviglioso questo racconto… Mio padre ha amato De Andrè..mio padre che nella musica è vissuto, ne ha fatto parte del suo lavoro…mio padre che ho visto piangere quando seppe della morte di questo artista complesso , ruvido eppure così intenso , vero, autentico…ho imparato ad ascoltarlo, amarlo…con mio padre andai alla mostra a Genova ideata da Dori Ghezzi…viaggiare nel mondo di de Andrè è stato viaggiare nell’anima di mio padre… grazie a tutti!
Soprattutto grazie a te
Grazie a De Andrè per la musica che ci ha lasciato. Il cantautore a mio avviso con la C maiuscola!! Io amo il genere cantautoriale e lui è sicuramente nei miei preferiti. Grazie a te Paola per le tue recensioni sempre molto belle. ???
De Andrè ha formato la mia crescita musicale e culturale. Ho avuto la fortuna di vedere anch’io un concerto del tour Anime Salve, credo fosse proprio l’ultimo, qui nella “sua” Sardegna. Di lui mi resta la poesia e il suo sguardo un po’ malinconico. Manca. Tanto. Un abbraccio forte, carissima