Milano, 11 maggio 2016
Avrei voluto scrivere una semplice recensione di “Una strada in mezzo al cielo” di Gianluca Grignani ma gli ultimi fatti di cronaca mi spingono a dire qualcosa in più.
Gianluca ha scritto delle canzoni bellissime, che ancora fanno tremare i polsi. Anche le più semplici commuovono, perché lui ha talento da vendere. Ne ha sempre avuto. Inquieto, sperimentatore, pieno di domande e di musica, ha scritto canzoni che ancora oggi, a 20 anni di distanza, sono il futuro. E fanno impallidire motivetti monosillabi confezionati per durare poche settimane.
Destinazione paradiso (questa con Elisa è una delle versioni migliori), Madre, La vetrina del negozio di giocattoli sono intrise di parole contemporanee, dolore, intensità. La fabbrica di plastica (con Ligabue), Rock star con Briga sembrano pagine scritte oggi e non invecchieranno mai, perché solo chi è sempre in viaggio non viene scalfito dal tempo.
Ma di contro Gianluca non è stato ben confezionato, come lui stesso scrive, e dice quello che pensa, spesso senza mediazioni. In una società che premia “immagine” “yesmen” e gli “influencers” (ma esattamente che lavoro fanno?) è chiaro che uno come lui venga vissuto con fatica, distacco. Fotografato caso mai se piscia fuori dal vaso e se barcolla soffocato dalle sue ansie. Portato nei titoli di testa se insulta qualcuno e non se scrive canzoni come Falco a metà.
I contenuti non ci interessano più, ci interessa quello che appare. Facciamo diventare “virali” (esattamente come una malattia) video di ragazze 12enni che si strappano lo scalpo nel tentativo maldestro di automatizzare una pannocchia di mais, ma non sappiamo riconoscere un dolore vero da uno finto. Un artista da un mestierante. Un persona, da un’immagine. La rete è democratica, ma non ci fa distinguere tra la merda e la verità. Io preferisco sempre riconoscerne l’odore. Non me ne faccio niente di banali consolatorie semplicità. Scelgo Gianluca e gli attacchi di panico.
Le verità finte e i numeretti facili li lascio a chi sfoglia solo le figure. Magari dal parrucchiere.
PaolaGallo©